Dicono di Max: Sergio Veschi

Sergio Veschi

E’ uno dei più grandi produttori discografici legati al mondo del jazz in Italia. Ed anche uno dei primi. Ha avuto il merito di “scoprire”, producendoli anzitempo con la sua Red Records, musicisti del calibro di Phil WoodsJoe HendersonCedar Walton o Kenny Barron (per citarne solo alcuni)

Di seguito riportiamo il post apparso il 19 gennaio 2013 su facebook

Ricordo di Massimo Urbani

Una sera di luglio, verso la fine degli anni 70, io e Alberto Alberti eravamo al Capolinea di MIlano. Avevamo da poco fondato la Red Records e stavamo discutendo sulle cose da fare. Improvvisamente arriva Massimo Urbani, un po alterato, in bolletta, privo di sassofono, che disse aveva perso la sera prima in un club di Torino, e che si disperava perché dovendo suonare la sera non sapeva come fare. Alberto gli disse di non preoccuparsi. Telefonò ad un suo amico che gli procurò un sassofono e gli disse che a fine serata poteva andare con lui a Bologna dove lo avrebbe ospitato.

Lo tenne qualche giorno a casa sua. Gli ricomprò un sassofono e, nei giorni successivi il gruppo di Beaver Harris in tour in Italia si esibiva a Bologna, lo portò al concerto, da lui organizzato, chiedendo a Beaver Harris di invitarlo a fare qualche brano assieme al suo gruppo in cui suonavano Grachan Moncur III al t.bone, Ken McIntyre al s.alto, Rhan Burton al piano e Cameron Brown al basso.

Fu un grande successo sia fra i musicisti che avevano accolto con scetticismo la proposta di Alberto che per il pubblico presente. Da questa sequenza di episodi nacque il primo disco della Red Records con Massimo Urbani 360° Degrees Aeutopia a cui, nel corso degli anni, seguirono altri quattro come leader: il doppio Max Mood & Dedication to Albert Ayler & John Coltrane, Easy To Love (il mio preferito), The Blessing (ultimo della serie fatto qualche mese prima della sua prematura scomparsa) e quello come sideman, con Fresu, Rea, Gatto con il quintetto di Giovanni Tommaso intitolato Via G.T.

360° Degrees Aeutopia vinse il premio della critica come miglior disco di jazz italiano dell’anno e ricordo perfettamente la sua emozione al momento del ritiro dalle mani di Arrigo Polillo. Ma, ancora più importante e illuminante, è stato per me il momento in cui, durante una pausa della registrazione, al bar di fianco allo studio di registrazione di Giancarlo Barigozzi a Milano, Massimo Urbani chiese a Grachan Moncur III dei consigli per migliorarsi come musicista di jazz.

Grachan Moncur, che è noto non solo per essere un grande trombonista ma anche un fine compositore che ha fatto delle registrazioni memorabili sia a suo nome che come sideman di musicisti del calibro di Bobby Hutcherson, Jackie McLean, gli rispose che per migliorarsi come musicista di jazz “doveva solo studiare Be Bop, suonarlo il più possibile e dominarne il linguaggio. Quando lo avrai fatto e ti sentirai sicuro non avrai più alcun problema con qualunque genere di musica suonerai sia essa la più facile o la più difficile perché saprai sempre dove sei e cosa stai facendo musicalmente parlando”.

Per chiunque conoscesse da vicino le idee, convinzioni, la sua pratica strumentale il tipo di repertorio che amava suonare, nel corso degli anni successivi, Massimo Urbani adottò e applicò fino in fondo i suggerimenti di Grachan Moncur che avevano ancor più valore proprio perché venivano da un musicista che spesso fu associato al movimento del free e dell’avanguardia Blue Note. Io stesso fui pesantemente influenzato da quanto disse Moncur con aria molto serafica e si vede chiaramente dalla svolta estetica che fu impressa alla Red Records successivamente.

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